Palmina Martinelli: un agghiacciante caso di malagiustizia
Le dichiarazioni fatte a Casa delle Idee nell’incontro dedicato alla 14enne fasanese, arsa viva perché non voleva prostituirsi
Nel tardo pomeriggio di mercoledì, in una sala conferenze di Casa delle Idee insolitamente gremita, prende la parola Alina Laruccia, presidente di Didiario: «Buonasera a tutti. Adesso vi mostrerò un video: non vi dico nulla». Dopo alcuni istanti viene proiettato un fermo immagine di una giovanissima fanciulla fasanese, Palmina Martinelli, che con un flebile filo di voce riferisce i nomi di coloro che hanno provato, alcuni giorni prima, a bruciarla viva. Nella sala conferenze cala il silenzio. Questa è la storia di una ragazza di 14 anni, scomparsa tragicamente il 2 dicembre del 1981 poiché colpevole di non aver voluto diventare una baby prostituta. Prima di entrare nel merito dell’incontro, vogliamo riproporvi la ricostruzione dei fatti che abbiamo riportato su queste colonne la settimana scorsa.
I FATTI
È l’11 novembre del 1981, siamo a Fasano: Antonio, fratello maggiore di Palmina, rientrando a casa avverte uno strano odore di bruciato e dei lamenti; è sua sorella, ancora in preda alle fiamme, che chiede aiuto dopo aver provato a spegnere il fuoco sotto la doccia che però, sfortunatamente, non funzionava. Suo fratello allora la carica in auto e la trasporta in ospedale dove il 2 dicembre, dopo 22 giorni di atroce sofferenza, chiuderà gli occhi per sempre. Prima della sua morte, un magistrato, munito di registratore, la interroga, cercando di capire chi abbia provato a darle fuoco e con quale mezzo. La ragazza è lucida e risponde dicendo i nomi dei due ventenni che avevano adoperato su di lei “alcool e fiammifero”. A rendere ancor più agghiacciante la vicenda c’è un fattore raccapricciante: uno dei due sarebbe stato il ragazzo di cui era innamorata, mentre dell’altro Palmina ricorda soltanto il nome. Perché tutto questo? I due volevano costringerla a prostituirsi e lei si era fermamente ribellata e opposta.
In seguito a varie udienze processuali, i due aguzzini furono entrambi scagionati per insufficienza di prove: nonostante in aula venne anche fatto ascoltare il nastro registrato, il processo si chiuse archiviando il caso come suicidio dovuto alla disperazione.
Alla fine del 2012 la famiglia ha chiesto alla procura di Brindisi la riapertura del processo. Molto infatti resta tutt’oggi da chiarire, o meglio da puntualizzare, su quello che fu il contesto familiare in cui era cresciuta Palmina, costretta da alcuni suoi parenti ad intraprendere la strada della prostituzione. Del resto a quattordici anni era fresca, bella e vergine; era un boccone più che appetibile per il “business di famiglia”. La piccola si era invaghita di Giovanni Costantini, che poi avrebbe denunciato come suo aguzzino, all’epoca militare in servizio a Mestre al quale scriveva ingenue lettere d’amore, sognando il matrimonio. Ben presto, però, aveva capito quale sorte avesse in mente per lei. A novembre, Palmina smise di andare a scuola e quando le compagne di classe le chiesero il motivo, rispose che in famiglia volevano farle fare “la vita”. Il processo ebbe inizio due anni dopo i fatti, nel 1983. Fondamentale fu l’esame della lettera che la piccola lasciò a sua madre, che però fu letta come quella di una suicida. Quel “addio per sempre” scritto in maiuscolo alla fine del foglio venne interpretato come il saluto definitivo, almeno fino a quando non ci si rese conto che la sola “P” era stata tracciata, a guisa di firma, da Palmina. Le altre lettere erano state aggiunte con un’altra calligrafia, in un secondo momento, per simulare il suicidio, da una mano che viene ritenuta compatibile con quella del Costantini. Quello che resta di Palmina, oggi, a Fasano è “Largo Palmina Martinelli (1967 – 1981) giovane vittima di crudele violenza”.
LE RIVELAZIONI
Di tutto questo si è discusso nella serata di mercoledì, anche grazie agli interventi di Giulia Sannolla, referente Area Antiviolenza della Regione Puglia, e Lello di Bari, ex sindaco di Fasano e medico presente al Pronto Soccorso negli ultimi giorni di vita di Palmina Martinelli. Uno dei primi aspetti che desta scalpore riguarda quanto affermato dal dott. Di Bari che, a Casa delle Idee, come in altre occasioni, dichiara di non essere mai stato interrogato durante i processi, pur essendo stato lui il primo a tagliare via i vestiti dal corpo bruciato, ancora in vita, di Palmina. Di Bari non esita, inoltre, a ricordare il proprio dolore e la propria impotenza nell’assistere ad un’agonia di 22 giorni, terminata con un tragico epilogo; tantomeno fa mistero di una questione cruciale: nella fase di coma farmacologico, Palmina veniva ogni tanto svegliata e, ogni volta, si dimostrava lucida, continuando a ripetere i nomi dei suoi aguzzini e la ricostruzione di quanto le era stato fatto. Di questo e della sordità dimostrata all’epoca dai magistrati, Di Bari non riesce tutt’oggi a capacitarsi.
Nel corso dell’incontro si è poi parlato della totale contaminazione, anzi pulizia della scena del crimine, con cui è stato possibile gettare le ombre dietro cui tutt’oggi si nascondono i colpevoli che, però, dopo tanti anni, hanno dovuto fare i conti con nuove analisi condotte da nuovi magistrati, grazie ai quali sussistono adesso grandi possibilità che il caso venga riaperto. Oltre alle perizie calligrafiche che hanno svelato quell’infame trovata del “P(er sempre)”, sono state infatti prese in esame le ustioni sul corpo di Palmina: il palmo delle sue mani e la zona dei suoi occhi non hanno subito danni, a dimostrazione di un tentativo di difesa dalle fiamme messo in atto dalla povera 14enne. Come può trattarsi di suicidio?
Sempre a Casa delle Idee era presente anche Giulia Sannolla la quale è intervenuta per portare al pubblico la tematica del femminicidio, in particolar modo in Italia. Preoccupante, a tal proposito, un dato che ci viene riportato dalla stessa Alina Laruccia: «Ricordo Turi tra i primi posti nella classifica provinciale per numero di casi di violenza familiare e sessuale a danno dei minori».
Preziose inoltre le considerazioni di Mario Gianfrate, direttore della rivista on-line IlSudEst, il quale ha presentato il suo libro “Palmina, una storia sbagliata”, nelle cui pagine viene condotta una precisa ricostruzione dei fatti. Profondo conoscitore della vicenda, Gianfrate ha voluto soffermare la sua attenzione sulla situazione di degrado sociale in cui viveva la povera Palmina che, anche a suo dire, merita giustizia: o meglio merita che la versione platealmente erronea del suicidio sia ufficialmente e finalmente smentita. Affinché tutto ciò sia possibile, bisogna sperare in nuove indagini, nuove analisi o ritrovamenti, o magari in nuovi testimoni che finora hanno taciuto omertosamente: prima che il tempo faccia la sua parte, seppellendo dei segreti o delle informazioni significative sotto terra.
LEONARDO FLORIO