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Digilio e Lacidogna, due Angeli A Durazzo

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L’Adrenalina, l’altruismo, il terrore e la voglia di tornare lì ad aiutare il popolo albanese

Dopo una gaffe in tv, la sindaca di Durazzo, la città più colpita dal potente terremoto registratosi in Albania la notte del 26 novembre, si è dimessa. In un’intervista all’emittente tv albanese Top Channel, la sindaca Valbona Sako, in carica da appena 4 mesi, affermava che “dobbiamo essere soddisfatti anche di 50 vittime” provocate dal sisma, probabilmente intendendo che il bilancio dei morti sarebbe potuto essere ancora più grave. Parole che l’hanno subito messa nel mirino delle critiche, nonostante abbia poi tentato di spiegare che la sua affermazione era stata male interpretata. “Ferita dalla grande e negativa reazione rispetto a un commento rilasciato in una situazione di uno stress che va oltre le mie forze, ho rassegnato le dimissioni dal mio incarico” – ha fatto sapere tre giorni fa tramite un suo post su Facebook.

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In totale sono 51 le vittime del terremoto, di cui 26 solo a Durazzo dove sono crollati due alberghi sulla spiaggia, due palazzi ed una villetta di tre piani. Lì, a Durres, si è diretto anche Nicola Digilio, da anni componente attivo all’interno della Protezione Civile turese: “Si torna a casa ed è ora di bilanci. In qualche ora ci hanno attivati e hanno chiesto anche il nostro supporto per aiutare i nostri fratelli albanesi. Senza pensarci due volte abbiamo preparato un semplice borsone con il minimo necessario e siamo partiti. Non sapevamo cosa ci aspettava: certo di voci ne giravano molte tra noi volontari, ma fin quando non sei lì non sai cosa ti aspetta davvero. Ho assistito a distruzione, dolore, paura… Ma noi siamo stati più forti di tutti questi sentimenti; in 24 ore abbiamo allestito un campo per accogliere tutto il personale e i civili in difficoltà sistemando più di 250 posti letto… Siamo diventati tutti una famiglia, ci siamo adoperati, siamo tornati sfiniti e soprattutto ci siamo fatti forza l’un l’altro. Abbiamo vinto la prima battaglia ed inevitabilmente un pensiero va alle vittime e ai loro famigliari!”.

Questo il commento conclusivo di Digilio, partito nella martoriata terra albanese assieme a Nicola Lacidogna, altro angelo della Protezione Civile turese. Intervistati ai nostri microfoni raccontano tutta questa difficile impresa, a partire dalle concitate fasi della partenza: “In due ore – spiega Lacidogna – abbiamo dovuto preparare gli zaini e partire a bordo di un traghetto di linea, il terzo di quelli salpati nella notte di martedì 26 novembre. Non sapevamo a cosa stessimo andando incontro ma eravamo consapevoli di dover fare la nostra parte per aiutare”. “Ho provato qualcosa al limite tra la paura e l’ansia – aggiunge Digilio – arrivati sul posto questa sensazione si è trasformata in adrenalina. Soltanto quando sono tornato a casa mi sono reso conto di quanto la Protezione Civile possa essere importante per le persone, cosa che magari si dà per scontata quando si fanno interventi a Turi”.

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Dopo circa 8 ore di viaggio, l’arrivo a Durazzo e ad accoglierli trovano uno scenario di devastazione: “Nel porto – spiega Lacidogna – c’era uno dei capannoni collassato su se stesso; addentrandoci abbiamo poi incontrato macerie lungo le strade, profili di palazzi sventrati, gente disperata ed accampata in macchine o in luoghi di fortuna”. Dopo la doccia fredda subita all’arrivo, non c’è tempo per ambientarsi e metabolizzare psicologicamente la situazione: subito i due volontari insieme agli altri colleghi pugliesi (120) e del Molise (32 con le unità cinofile) iniziano ad allestire il campo base. Quello che sorprende è che non ci sia un solo attimo di tensione o screzio: le squadre, consapevoli dello stato di emergenza, trovano subito l’intesa e si supportano vicendevolmente per portare a termine il proprio compito. Così vengono sistemate le tende, le cucine e viene allestito il punto di collegamento con la Farnesina che ovviamente coordina le operazioni. Gli imprevisti però non mancano: ad esempio per installare le luci all’interno delle tende, ci si accorge che le scale sono troppo alte e allora parte la ricerca dei volontari più leggeri, che vengono issati sulle spalle dei più robusti per portare a termine il lavoro. Ciononostante e contro ogni previsione, quello che doveva essere concluso in cinque giorni viene completato addirittura in un giorno e mezzo. Nella mattinata di venerdì i nostri volontari sono già di ritorno a casa. Prima di rientrare, però, i due angeli turesi hanno anche il tempo di provare sulla propria pelle il significato del terremoto, il terrore di una scossa di assestamento: “Un pericolo che non sai da dove arriva è totalmente diverso dal pericolo che abitualmente intendiamo”.

Al termine di questa lodevole impresa, Lacidogna ricorderà la tristezza del popolo albanese che, all’andata verso l’Albania e al ritorno in Italia, appariva spaesato verso lo scenario che ci si aspettava, o meno, di trovare e lo scenario di distruzione che effettivamente veniva lasciato alle spalle: una distruzione che, stando a quanto ascoltato in loco da Digilio, dovrebbe essere superata soltanto tra 15 anni. “All’arrivo al porto – racconta quest’ultimo – una ragazza stava riprendendo le operazioni di sbarco dei volontari. Istintivamente ho salutato e la ragazza ha ricambiato mettendo la mano sul cuore. Tutti ci hanno ringraziato prima ancora che arrivassimo e questo ha lasciato il segno”.

Perché avete aderito? “Per spirito di solidarietà: non sapevamo perché, ma sapevamo di dover dare una mano” – commentano i due che, nonostante tutto, affermano con una facilità disarmante di esser pronti a tornare lì, dove le cose e le persone dovranno ripartire da zero.

LEONARDO FLORIO

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