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Passeggiando (e sognando) con Paolo Borracci

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L’idea di un museo della “turesità” e tante altre iniziative che potrebbero valorizzare il nostro borgo antico e avvicinare più turisti

Negli scorsi giorni abbiamo incontrato per le vie del “paìse vècchie” Paolo Borracci, vicepresidente dell’associazione “I Vecchi Tempi”. Le case piccole e raccolte coi muri bianchi in calce, le viuzze strette e lastricate, i caratteristici “sottani” e le edicole votive sono solo alcune delle tante peculiarità che caratterizzano il nostro borgo antico, amato alla follia dallo stesso Borracci che in questo angolo di storia ha vissuto molti anni della propria vita.

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Prima di procedere oltre, è bene dire che la nostalgia è un sentimento che ha senso di esistere quando si vorrebbe invertire il normale procedere del tempo, quando il presente ed il futuro deludono rispetto ad un passato aureo ormai scomparso. Ed è proprio dai vecchi tempi che ha inizio il racconto appassionato di Borracci: «Da tanto tempo ormai il nostro borgo antico, il cuore del nostro paese, è abbandonato a se stesso. Nei vicoli stanno sempre più scomparendo i profumi, i colori, i suoni e anche la facce che in passato rendevano vivo e romantico il nostro centro storico. Adesso questo luogo è presidiato da attività illecite e di notte, nonostante stiamo parlando di una zona a traffico limitato, alcuni automobilisti attraversano il centro storico come se fosse il circuito di un Gran Premio. Ormai quando si parla del nostro paese vecchio, si pensa alla zona di “Pecora Vecchia”, alla prostituzione e alla droga».

Prima di continuare con il racconto di questa passeggiata al fianco di Paolo Borracci, vi riportiamo la spiegazione per la quale Via Arco Gil è famosa come “Pecora Vecchia”: «Tanto tempo fa in questa strada c’era un signore che possedeva una pecora piuttosto anziana» – racconta Paolo. «Il borgo antico – prosegue – dovrebbe essere vivo come una volta. Adesso, anche di Domenica, c’è un silenzio, una malinconia assordante. Tempo fa c’erano tante famiglie a popolarlo, i ragazzi giocavano per queste strade e spesso capitava di andare a ballare nelle case degli amici. C’era più unione anche tra i turesi». A tal proposito, sarebbe interessante notare quanto la coesione di una collettività sia da un punto di vista sociologico ascrivibile all’intimità permessa dai luoghi vissuti dalla popolazione: intimità che può conseguire banalmente dalla vicinanza delle abitazioni; basti pensare a quelle lunghe “tavolate di vicinato” che si tenevano nelle viuzze del centro storico. Adesso quanti di noi non sanno nemmeno chi abita nel proprio isolato?

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Una risposta con delle soluzioni per cercare di riportare alla luce un’intimità e una coesione ormai quasi scomparse, ce la fornisce lo stesso Paolo: «Servirebbero tante decorazioni floreali e soprattutto un nuovo impianto di illuminazione pubblica. Sono felice che questa Amministrazione si sia attivata per rimediare alla “penombra” della villa, ma non dimentichiamoci anche del centro storico che, pur essendo affollato nei momenti delle sagre di paese, non può essere vissuto soltanto in queste poche circostanze». A proposito di sagre e turismo, Borracci dirà più tardi: «Come associazione “I Vecchi Tempi” collaboriamo attivamente in molte occasioni di festa del nostro paese. Per questo motivo ci confrontiamo spesso con i turisti che, dopo aver visitato la Grotta di S. Oronzo, le nostre Chiese (quando sono aperte) ed il nostro centro storico, ci domandano se ci sia altro da vedere a Turi. Tutti si complimentano per la bellezza dei nostri simboli, per le strutture in pietra, ma nei loro occhi e nelle loro parole si vede una certa insoddisfazione. Vorrebbero vedere altro, specie nel centro storico, dove le attività più presenti sono i B&B. Qui mancano un’edicola, un tabaccaio, un’osteria, una pizzeria, dei negozi di souvenir e magari un bel museo. Cose che piacerebbero anche ai turesi, ne sono certo».

Già, un museo, il desiderio che da anni viene coltivato da Paolo, dai ragazzi della sua associazione e da tanti altri concittadini: non è passato molto tempo dalla morte di “Mèste Pèppe”, storico fabbro turese, la cui bottega sarebbe degna di diventare un piccolo museo dell’artigianato: «Sarebbe bello vedere la nostra Amministrazione impegnarsi nella realizzazione di un museo legato alla nostra città. Non solo l’arte contadina: andrebbero valorizzati anche i personaggi storici, i nostri simboli, il nostro dialetto, le nostre tradizioni, il nostro passato e tutto ciò che ci identifica come turesi».

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Suggestionati da questa “folle fantasia”, ne rimaniamo coinvolti: fino al 2010 le personalità più importanti della nostra città venivano insignite del “Premio Turi”, un’iniziativa ormai scomparsa, come qualsiasi cosa che non trova il proprio tempio e, di conseguenza, il proprio culto. Tornando a “I Vecchi Tempi” e al vicepresidente Paolo Borracci, è impossibile non far riferimento anche al Forno D’Addante, ormai inaccessibile, dove un tempo si inscenava una parte del presepe vivente e ancor prima, andando più a ritroso, si sfornavano quintali e quintali di pane e prodotti affini. Quanti luoghi stiamo perdendo e le associazioni, a volte sostituendosi ad una Politica troppo impegnata su altri versanti, fanno del proprio meglio per contrastare l’avanzata dell’oblio. Certo è che, anche su questo discorso, bisognerebbe un attimo indagare con la lente d’ingrandimento: in alcune occasioni le realtà associative locali non sembrano remare tutte verso un’unica direzione, poiché mosse dall’orgoglio o, nella peggiore delle ipotesi, da interessi economici che andrebbero quantomeno messi in subordine rispetto all’amore verso la propria terra. E di questo amore Paolo Borracci, come d’altronde tutti i ragazzi de “I vecchi Tempi”, è indubbiamente abitato nel proprio animo, tanto che, per mantenere viva la tradizione gastronomica relativa alla commemorazione dei defunti, lo stesso vicepresidente de “I Vecchi Tempi” vorrebbe un giorno vedere le strade del nostro paese inondate da turisti desiderosi di assaggiare “chiacùne”, “fecazzèdde di mùrte” con la “recòtte ascquànde” e, perché no, un bel bicchiere di vino primitivo locale.

«Il nostro paese – sottolinea – può e deve andare avanti. Oltre al Forno D’Addante, ci sono tanti altri luoghi che meriterebbero maggiore attenzione. Pensiamo al Chiostro dei Francescani o, in periferia, all’ex macello e allo stadio comunale che potrebbero prestarsi a tante attività rivolte ai giovani. Ma anche una semplice rotonda può diventare un punto da dedicare ai simboli turesi, con installazioni artistiche». Ebbene, tornando all’idea di un museo della “turesità”, la speranza è che essa non muoia in questo articolo: anzi, a quanto pare, durante l’amministrazione De Grisantis, pare che si stesse insinuando il progetto di un “Museo della Pietra” da realizzarsi all’interno dell’attuale Casa delle Idee; tra gli ideatori vi era Stefanino Rossi, scultore turese, proprio di recente commemorato da sua figlia Annarita e da molti concittadini sui social. La sua benedizione potrebbe in tal senso tornare utile. Nonostante le innumerevoli lacune, Turi riesce in alcune occasioni a rendersi attrattiva per i turisti: ma tanto ancora c’è da fare e i risultati potrebbero essere, contro ogni previsione pessimistica, davvero sorprendenti.

LEONARDO FLORIO

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