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In viaggio tra i vigneti turesi

La pulizia dei grappoli dell'uva 'Italia' (1)

Tonio Palmisano ci illustra i primi dati della stagione dell’uva da tavola.
Quantità superiori all’anno scorso ma prezzi più bassi


«L’uva è un frutto molto delicato, necessità di manodopera competente che sappia come prendersi cura del prodotto in ogni sua fase. Prima che un lavoro deve essere una passione». Così l’imprenditore Tonio Palmisano ci introduce nel mondo dell’uva da tavola che, al pari di quella da vino, rappresenta un settore importante dell’economia turese.

Siamo in Contrada Sant’Oronzo e ad accoglierci troviamo il profumo dell’uva ‘Italia’ che, ci spiega Palmisano, è la migliore varietà di uva bianca con semi presente nel nostro territorio, conosciuta in tutto il mondo e definita dai francesi “raisin parfait” (uva perfetta). Per l’uva rossa, invece, la più diffusa è la ‘Red Globe’ che però è alla fine della sua carriera: progressivamente viene sostituita da altre varietà apirene (senza semi).

Tonio Palmisano con una delle sue squadre

 

Sei mesi di lavoro e sacrifici

«La campagna dell’uva da tavola – prosegue Palmisano – non è corta come quella delle ciliegie che dura quaranta giorni. Parliamo di sei mesi di lavoro e sacrifici: da luglio ad almeno metà dicembre, si susseguono tante varietà, dalle primizie a quelle tardive. La stagione si chiude con l’uva ‘Italia’ per la varietà bianca e con la ‘Crimson’ per quella nera».

Le operazioni di installazione dei teli

Sei mesi in cui il tempo è scandito da meticolose operazioni: conclusa la fase dell’acinellatura, si procede alla copertura del vigneto con i teli in plastica per proteggere l’uva dalle intemperie e, a partire dalla fine di agosto, si inizia la paziente pulitura dei grappoli, eliminando manualmente gli acini guasti. Nel mezzo, all’occorrenza, si procede con innaffiatura e trattamenti mirati a proteggere il frutto da malattie fungine o derivanti da punture di insetti.

Nella fase finale, gli agricoltori seri non ricorrono più a fitofarmaci aggressivi ma usano prodotti come la calce, il rame, le polveri di roccia o lo zolfo che, oltre a proteggere l’uva, concorrono ad abbassare i residui dei principi attivi utilizzati in precedenza, cosicché il frutto possa essere consumato in piena sicurezza».

 

Uno dei grappoli colpiti dal 'marciume acido'

Turi ‘graziata’ dal maltempo

Venendo alla stagione in corso, Palmisano ci racconta luci ed ombre di un’annata che, se supera a pieni voti la prova quantità e qualità, si arena sul versante dei prezzi, troppo bassi in confronto ai costi di produzione.

«Per prima cosa va detto che Turi è stata risparmiata dal maltempo, probabilmente dobbiamo ringraziare Sant’Oronzo! In compenso non sono mancati sbalzi termici e giornate eccessivamente umide che hanno favorito il cosiddetto marciume acido: l’acino si spacca e crea un succo per l’appunto acido che inizia a colare sugli altri chicchi. Per evitare di perdere l’intero grappolo, è necessario intervenire subito, rimuovendo gli acini marci. Solo in questo modo il frutto viene tenuto sempre pulito, ottenendo un risultato qualitativo ottimale che va incontro alle richieste di commercianti e grossisti.

 

Prezzi troppo bassi

«In apertura – puntualizza Palmisano – si pensava che ci sarebbe stato un surplus di produzione, poi le condizioni climatiche di cui abbiamo parlato hanno causato un calo rispetto alle previsioni ma siamo ugualmente su quantità superiori a quelle dello scorso anno.

Per quanto riguarda i prezzi, invece, siamo a livelli più bassi, proprio perché c’è grande disponibilità di prodotto.

Bisogna precisare, tuttavia, che l’anno scorso non si sono avute spese impreviste, quest’anno anche se c’è una maggiore quantità abbiamo dovuto sostenere i costi della pulizia dei grappoli, costi che possono arrivare ad incidere fino a 20 centesimi a chilo e che chiaramente limitano il profitto dell’agricoltore».

 

La grande distribuzione

Altra questione, che riguarda non solo l’uva ma l’intero settore dell’ortofrutta, è il rapporto con la grande distribuzione che tende a dequalificare (e deprezzare) la produzione locale.

«Frutta e verdura vengono abbandonate sui banchi espositivi dove tutti possono metter mano, finendo per rovinare il prodotto. Quella frutta rovinata, chiaramente, non lo comprerà nessuno e la perdita viene addebitata a noi produttori. Per arginare la situazione o si decide di optare per confezioni chiuse o si impone la presenza di un addetto alla vendita, così come accade per la carne ed il pesce, prodotti deperibili al pari dell’ortofrutta».

 

I limiti delle royalty

Oggi l’agricoltore deve confrontarsi anche con il pagamento delle royalty (“diritti di proprietà”) ai detentori dei brevetti delle tante varietà, con e senza semi, che vengono presentate anno dopo anno.

Oltre a pagare queste royalty, si viene spesso vincolati a vendere esclusivamente a determinati soggetti, che a loro volta hanno acquisito la licenza di commercializzare quella specifica varietà. Questo meccanismo pone l’agricoltore in una posizione debole: a differenza di quanto accade nel libero mercato, non c’è la possibilità di confrontarsi con più acquirenti e negoziare il prezzo, facendo valere la qualità del proprio prodotto. I commercianti, forti di questa esclusività, dettano le regole del gioco e il produttore deve adeguarsi.

 

‘Concorrenza sleale’

Alle già molteplici difficoltà che un agricoltore deve sostenere si somma anche la ‘concorrenza sleale’ di imprenditori che scommettono sulla terra, finendo per avvelenare il mercato.

«Chi rovina il mercato – spiega Palmisano – sono i “falsi” imprenditori agricoli: mi riferisco a chi pur avendo già un mestiere ed uno stipendio, per aumentare il proprio reddito inizia a investire nell’agricoltura ma, alla fine, tutto fanno tranne che coltivare la terra. La loro speculazione crea un danno enorme a chi l’agricoltore lo fa per mestiere: abbassano lo standard qualitativo per limitare i costi di produzione e si inseriscono nel mercato con prezzi stracciati, operando una ‘concorrenza sleale’ che mette in ginocchio il produttore che trascorre tutto l’anno a curare con dedizione e passione il proprio campo.

Una soluzione sarebbe eliminare il sistema fiscale agevolato per tutti coloro che non sono agricoltori di professione, in modo da disincentivare questa manovra scorretta».

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