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“Pippi resiste alle difficoltà familiari”

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Già da circa un anno si svolge a Turi, all’interno di un progetto più ampio Famiglie in Centro per l’infanzia e l’adolescenza, un programma di intervento innovativo in favore di bambini che vivono in contesti di particolare vulnerabilità, che impegna non solo le famiglie, ma anche gli operatori sociali e gli insegnanti.

Questo programma, chiamato P.I.P.P.I, atto a prevenire l’allontanamento dei minori dai loro nuclei familiari, si ispira al noto personaggio letterario Pippi calze lunghe, che come si ricorderà grazie alle sue capacità e all’immaginazione riesce a resistere e superare le difficoltà familiari. Nel contesto di generale fragilità e sfilacciamento dei rapporti sociali, il progetto si rivolge a dieci famiglie residenti nell’area dei quattro Comuni dell’ambito territoriale, le quali, selezionate dal servizio sociale pubblico, partecipano volontariamente al processo di sviluppo del proprio potenziale verso un significativo cambiamento delle condizioni di benessere della famiglia e dei bambini.

Al centro del programma ci sarebbero proprio i bambini che vivono le condizioni di emarginazione, povertà o solitudine in cui sono poste le famiglie, e che, nei casi più diversi, subirebbero queste condizioni fino a veder negati i propri bisogni: dalla socialità e gioco con i propri coetanei fino al diritto ad una istruzione scolastica.

Così il programma non si qualifica attraverso la sola modalità di assistenza domiciliare, «non c’è il singolo operatore che va in famiglia e risolve le cose», ci spiega Carmen Tatamaro referente del Centro Aperto Polivante aderente al progetto, ma con un supporto per l’autonomo cambiamento. «Il progetto – continua la Tatamaro – coinvolge la famiglia fin dall’inizio, e lo fa attraverso la valutazione dei bisogni dei figli a cui non si era data risposta prima».

«L’innovazione del progetto sarebbe nel metodo – aggiunge l’educatrice – svolgendosi con la partecipazione di tutti gli attori coinvolti nei contesti di vita del bambino». Questo finisce con il rafforzare le capacità di cambiamento da parte dei genitori, degli educatori e degli insegnanti. Infatti il metodo di lavoro, studiato dall’Università degli Studi di Padova e finanziato dallo Stato e dalla Regione Puglia,  si dispiega su cinque ambiti di intervento: gruppi per genitori e bambini, educativa domiciliare, coinvolgimento delle scuole, attività dei formatori sul territorio, famiglie d’appoggio.

Uno di questi, il lavoro collettivo che svolgono i genitori attraverso i gruppi di lavoro, aperto a chiunque voglia parteciparvi, «produce intuizioni che cambiano la genitorialità di tutti», conclude la Tatamaro, mentre, gli stessi operatori ed insegnanti che partecipano ai percorsi di formazione vengono a pensare diversamente il loro lavoro a partire dallo studio dei contesti di vulnerabilità.

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